Presenti:
Pietro, Luca.
La vita alpinistica di un papà, recente o meno che sia, presenta numerosi
ostacoli da superare, in primis il trovare una finestra di tempo sufficiente per
andare in montagna. La soluzione si nasconde in partenze decisamente antelucane
e improbabili accorpamenti di itinerari. Quale compagno migliore di Pietro,
esperto di fughe solitarie e sforzi fisici ingiustificati, per questo tipo di
avventura.
Appuntamento alle 3.30 al Col Tricot. Io parto da Les Houches e Pietro da
Le Champel, sul versante opposto del colle, entrambi a piedi, carichi di
entusiasmo e masochismo.
Alle 2.45 siamo già entrambi al colle, un po di riposo, due barrette e si
riparte.
Il dislivello cumulato nelle gambe ha già superato i 1000 metri, altri
2000 per la vetta.
Si parte verso la Pointe Inferierure de Tricot, “sentier de chevres”
citando la relazione. Un montefasce di dislivello circa.
Nessuna particolare difficoltà tecnica fino alla Pointe Mediane, solo un
lungo saliscendi per cresta comoda e mai troppo esposta.
Solo dopo, in direzione della Pointe Superieure, la cresta si
assottiglia e il superamento di qualche isolato gendarme, esposto e su roccia
instabile, richiede della concentrazione extra. La fatica, almeno per me che
sono arrivato direttamente da Genova alla mattina, inizia a farsi sentire.
Pietro è inarrestabile, come al solito.
Fino all’Aiguille de Tricot le difficoltà sono contenute, prevalentemente
facile “scrambling” su rocce rotte. Finalmente arriviamo in vista dell’ Aiguille
de Bionnassay. Ultimi 3/400 metri di dislivello. Inizia la neve che dopo poco si
indurisce e si fa più ripida. Un paio di tiri su ghiaccio danno un senso a picca
e ramponi che sono rimasti nello zaino fino a poco prima.
Pietro sembra appena
partito, io sto strisciando, ma finalmente siamo in vetta.
Un panorama
incredibile su tutto il massiccio del Bianco, con una meteo perfetta che ci ha
accompagnato per tutta la salita, 3200 metri di dislivello cumulato.
La discesa
richiede ancora un po di attenzione. Un po' di disarrampicata, qualche doppia
inventata, visto che abbiamo solo 30 metri di corda, ancora sfasciumi e
finalmente arriviamo al rifugio Durier, arroccato sul Col de Miage, spartiacque
dell’omonimo ghiacciaio.
Le difficoltà sono finite, ma la discesa è ancora
eterna. I 3000 metri abbondanti di salita e i primi mille di discesa picchiano
sulle gambe. Un limonata energizzante (e decisamente cara, soprattutto per un
genovese) al Refuge Plan Glacier e si riparte per l’ultimo lungo e faticoso
tratto di discesa, fino a Le Champel.
Un viaggio incredibile, durato poco più di
17 ore, in una zona remota del massiccio del Bianco (non abbiamo incontrato
nessuno ne a salire, ne a scendere, fino al rifugio Plan Glacier), per un
itinerario poco ripetuto e che in condizioni normali viene affrontato con un
bivacco sulla cresta. Grazie a Pietro che con il suo inesauribile motore mi ha
tirato fino in vetta.
Ora le vacanze sono meritate davvero.
Prima parte della Cresta, dopo la Pointe Inferieure
La cresta si Assottiglia
Prime luci sul Massiccio
Il tratto di Cresta appena percorso
Sali, scendi, sali, scendi
Viste maestose dalla Cresta
Finalmente Vetta!
Pietro e il Bianco
Luca e la Valle
In discesa verso il Dourier
Una delle poche pause.. finiamo il cioccolato e si riparte..
Infinita discesa verso il ghiacciaio del Miage francese.. si attraversa e si scende ancora..
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